De Lucia, A., 2004, Nuovi flussi migratori in Puglia. Antropo, 6, 53-61. www.didac.ehu.es/antropo


 

Nuovi flussi migratori in Puglia.

 
Recent migratory flows in Puglia.

 

Amelia De Lucia

 

Dipartimento di Scienze Statistiche. Università degli Studi di Bari (Italia). Via Camillo Rosalba, 53. 70100 Bari. E-mail: adelucia@dss.uniba.it

 

Parole chiave: flussi migratori in Puglia, aspetti demografici

 

Key words: migratory flows in Puglia, demographic aspects

 

 

La storia dei flussi migratori, negli ultimi decenni, è contrassegnata sempre più da pulsioni legate ad esigenze di sopravvivenza: carestie, intolleranze religiose, discriminazioni razziali e, soprattutto negli ultimi anni, da sconvolgimenti politico-economici tali da dar luogo, in taluni casi, a veri e propri esodi. I poli di attrazione per l’emigrazione sono stati rappresentati dapprima dalle Americhe e dall’Australia e poi, a partire soprattutto dal secondo dopoguerra, dai paesi dell’Europa centro-settentrionale (Widgren, 2001).

Nell’ultimo secolo sono avvenute importanti migrazioni sia per ragioni di natura politica che di ordine economico. A partire, infatti, dall’immediato dopoguerra nella storia delle migrazioni internazionali si possono individuare tre fasi distinte:

1) la fase (1950 – 1967) di ricostruzione post bellica ed espansione strutturale che inizia nell’immediato dopoguerra e si conclude sul finire degli anni sessanta. In questo periodo, le migrazioni internazionali rispondono ad una reale domanda di lavoro dei paesi di accoglienza, rappresentati quasi esclusivamente da paesi industriali dell’Europa centro-settentrionale;

2) la fase (1967 – 1980) della crisi strutturale e della nuova ripartizione internazionale del lavoro che inizia alla fine degli anni sessanta e si conclude alla fine degli anni settanta. In questo periodo in tutti i paesi che tradizionalmente avevano importato manodopera le migrazioni internazionali subiscono il contraccolpo della crisi economica. Le migrazioni (soprattutto quelle clandestine) si estendono in misura crescente e si assiste ad una progressiva sostituzione dei flussi a partenza dai paesi dell’Europa meridionale con quelli provenienti dai paesi extracomunitari e ad una parziale trasformazione dei primi da paesi di emigrazione in paesi d’immigrazione;

3) la fase che va dal 1980 ad oggi, infine, è stata contrassegnata dalla crisi globale dei paesi sottosviluppati e dalla ripresa delle economie capitalistiche. In questo periodo si assiste ad un aumento massiccio di migrazioni internazionali. Cominciano a manifestarsi i drammatici eventi dell’esplosione demografica e del disastro, non solo economico, ma anche ecologico, politico, sociale e culturale che investe e coinvolge un crescente numero di nazioni. L’esodo comincia a trasformarsi in una fuga per la sopravvivenza. Le migrazioni divengono, in modo sempre più chiaro, ciò che si è voluto a lungo negare e cioè un drammatico problema politico, che esige precise e coraggiose risposte politiche. (Melotti, 1990).

Questi movimenti migratori, riconosciuti più complessi di un semplice flusso di emigrazione da un paese verso un altro derivano dall’influsso di tre tipi di forze fondamentali di ordine demografico, economico e politico, classificate dai sociologi come segue:

1)                 fattori di espulsione (push-factors) dai paesi di provenienza o esodo: l’incremento demografico, il peggioramento o l’insufficienza delle condizioni di vita, situazione politica di dittatura, guerra, discriminazione;

2)                 fattori di attrazione (pull-factors) del paese di approdo: miglior livello economico, richiesta di manodopera, ricongiungimento familiare. L’Occidente risulta meta preferita per il benessere economico, la “libertà” e “felicità”, in relazione, non solo ai racconti, ma anche alle immagini televisive, oggi anche satellitari, che giungono nei paesi in via di sviluppo (Melotti, 1990). E’ quanto accaduto, in particolare in Albania con la caduta delle ideologie e delle barriere costituite dalla dittatura militare;

3)                 fattori di scelta (choice-factors) che il potenziale immigrato attiva in relazione, ad esempio, alla presenza di norme più o meno restrittive nel controllo dell’immigrazione, ovvero al reale impegno, da parte del paese ospitante, nel farle rispettare, o infine all’entità delle sanzioni previste. Ancora l’opzione per questo o quell’altro paese potrà essere in relazione all’esistenza o meno di una comunità di connazionali ben organizzata, o al clima e all’ambiente più favorevoli ad un’agevole sopravvivenza (Geraci, 1995).

E’ proprio il diverso concorrere di questi tre tipi di forze a determinare i flussi migratori, i cui parametri, peraltro, cambiano spesso e rapidamente.

«Negli stati più industrializzati, a partire dagli Stati Uniti, il fenomeno dell’immigrazione è strettamente congiunto con quello della globalizzazione e si presenta come un segno di modernità» (Pittau, 1999).

Concentrando l’attenzione sul quadro storico nazionale, fino agli ultimi decenni, l’Italia ha rappresentato più una fonte di emigrazione che una meta di immigrazione. Per oltre un secolo, infatti, l’emigrazione italiana verso Paesi europei (Germania, Inghilterra, etc.) e altri continenti (America, Australia, etc.) ha contribuito a riequilibrare il mercato del lavoro in Italia, per l’assorbimento di quote consistenti della manodopera italiana all’estero e per l’alleggerimento del peso del tasso di disoccupazione, risultando, peraltro, una fonte di arricchimento economico nazionale.

Dalla fine della seconda guerra mondiale, infatti, e sino a metà degli anni ’60, si verificava, mediamente, un esodo netto di 200-250 mila persone/anno (saldo passivo tra un’emigrazione di circa 350-400 mila unità e un’immigrazione di 150 mila); solo nel 1973, per la prima volta nella storia recente, il saldo passivo, dopo una continua riduzione in valore assoluto, ha cambiato segno, divenendo attivo. (Morrone, 2002).

Negli ultimi due decenni, negli anni ottanta ma soprattutto negli anni novanta, la tendenza migratoria dell’Italia si è invertita: si è avuta, infatti, una intensificazione dei flussi migratori verso il nostro Paese, sia per il ritorno in patria dei nostri connazionali, ormai economicamente realizzati, sia per l’arrivo di cittadini provenienti da Paesi più poveri aventi un tasso di sviluppo nullo o negativo oppure da paesi in via di sviluppo (Nigeria, Messico, Venezuela e Brasile) apparentemente poveri (posseggono,infatti, ingenti risorse naturali, quali, petrolio, diamanti, legname che non sono in grado di sfruttare adeguatamente), sia, infine, da Paesi dell’Europa orientale (Jugoslavia, Polonia, Romania, etc.) ad economia centralmente pianificata, dopo la caduta dei regimi totalitari. (Vaccaro, 1997).

Di seguito riportiamo i dati più recenti, in merito alla stima della presenza degli immigrati in Italia e riferibili agli inizi del 2003, valutati dalla Caritas sulla base dei dati forniti dal Ministero degli Interni. Possiamo notare che la presenza straniera complessiva in Italia può essere stimata pari a 2.395.000 persone, includendo non solo i lavoratori ma tutti i soggiornanti regolari e le persone che aspettano di essere regolarizzate, con una incidenza del 4% sulla popolazione residente (Tabella 1) (AA.VV. Caritas, 2003).

 

Stima popolazione straniera regolare presente al 31.12.2001

1.363.000 Soggiornanti stranieri a qualsiasi titolo presenti in Italia al 31. 12.2001

82.000 Ipotesi di nuovi permessi sfuggiti alla registrazione dei Ministero dell'Interno in quanto inviati successivamente dalle questure e recuperati a distanza di tempo dall'ISTAT (6%)

230.000 Minori non registrati nell'Archivio di soggiorno in quanto riportati sul permesso di soggiorno dei genitori

1.675.000 Popolazione straniera regolare all'inizio dei 2002

Stima incremento popolazione straniera tra il 2002 e il 2003

75.000 Nuovi permessi concessi nel corso del 2002 e validi fino alla fine dell'anno per lavoro, famiglia e ad altro titolo

45.000 Nati stranieri in Italia nel 2002 più minori venuti a carico di un familiare e non conteggiati tra i permessi

120.000 Stima incremento medio complessivo

600.000 Immigrati che hanno presentato istanza di regolarizzazione (conteggiando una volta sola quelle riguardanti la stessa persona)

Stima della popolazione straniera regolare in Italia all'inizio del 2003

2.395.000

Tabella 1. Stima della popolazione straniera regolare in Italia all'inizio del 2003.

Table 1. Estimate of the foreign population in Italy at the beginning of 2003.

 

Il Ministero dell'Interno, sul cui archivio è basato anche quello dell'INPS, all’1/1/2002 ha conteggiato 1.362.630 titolari di permesso di soggiorno a qualsiasi titolo, dei quali 800.680 (pari al 58,76%) per motivi di lavoro e 393.865 (pari al 34,60%) per motivi di famiglia.

Ipotizzando che, al massimo, 200.000 tra i familiari prima menzionati siano stati regolarmente assunti, come peraltro consente la vigente normativa, arriveremmo a una stima di circa 1.000.000 di lavoratori immigrati. Considerando sempre i dati INPS, possiamo includere a questo numero circa 600.000 “regolarizzandi” (tale stima è stata fatta tenendo in dovuto conto anche le duplicazioni di istanze di regolarizzazione per lo stesso lavoratore domestico occupato presso diverse famiglie). Pertanto, la forza lavoro immigrata può essere realisticamente stimata pari a 1.600.000 unità.

Certamente bisogna tener presente che le presenze straniere non sono ascrivibili solo ed esclusivamente ai lavoratori: vi sono i coniugi, i figli, i parenti, altre persone presenti a titoli diversi da quello lavorativo o familiare e figli di immigrati nati in Italia.

Secondo il Comitato di Indirizzo e Vigilanza dell'INPS (relazione svolta il 5 febbraio 2003 al Consiglio Superiore della Magistratura), se si incrociano i dati del Ministero dell'Interno, dell'INPS e dell'Inail, i lavoratori immigrati con permesso di soggiorno sono attualmente 1.877.180; aggiungendo i 700.000 in attesa di regolarizzazione si arriva ai due milioni e mezzo circa di lavoratori extracomunitari, ai quali bisognerebbe poi aggiungere i familiari e le persone presenti ad altro titolo. Tenuto conto che i titolari di permesso di soggiorno per lavoro sono il 59% di tutta la popolazione immigrata, se i lavoratori stranieri fossero veramente 1.900.000, la popolazione straniera nel suo complesso salirebbe a 3.180.000 e, aggiungendo le persone da regolarizzare, si arriverebbe a sfiorare i 4 milioni: quindi, nel giro di un anno, tale valore sarebbe più che raddoppiato.

Un passo in avanti nell’integrazione lavorativa degli immigrati si è avuto in Italia, con l’entrata in vigore della legge n. 39 del 1990, che ha abolito le liste speciali di collocamento dei lavoratori stranieri (precedentemente il lavoratore immigrato poteva essere assunto solo in mancanza di lavoratori italiani disponibili per quella particolare mansione). Dopo essere stati quindi equiparati ai lavoratori della nazione ospitante, gli immigrati cominciano ad entrare nel mercato del lavoro ufficiale (Ambrosini, 2001).

In realtà l’Italia è divenuta una delle mete finali dei nuovi moti migratori anche in dipendenza del livello di industrializzazione raggiunto e del notevole aumento del benessere che ha determinato il rifiuto, da parte dei lavoratori italiani, di mansioni considerate pesanti, insalubri o faticose in relazione alla remunerazione, anche umili o scarsamente remunerate (Fondazione Cariplo I.S.MU., 1998).

Secondo le stime effettuate, si può attribuire al lavoro prestato dagli stranieri (extracomunitari) la creazione di una quota di valore aggiunto complessivamente stimabile nell’1,5-1,8 % di quello nazionale per un totale, quindi, nell’ordine di 12-13 milioni di euro.

Viene confermata la tendenza da parte delle imprese locali ad assumere immigrati, per compensare e sostituire la manodopera locale mancante, soprattutto nell’ambito di lavori umili, più pesanti e onerosi sul piano fisico; ciò è inoltre favorito dalla maggiore flessibilità e adattabilità degli immigrati in relazione a posizioni giuridiche spesso irregolari e alla situazione economica in genere precaria. Il ricorso a questi lavoratori finisce per costituire un fattore di convenienza per molti imprenditori, i quali hanno ottimi risultati produttivi a basso costo (Todisco, 1996).

Secondo il Rapporto ARES (2000), la ricchezza annualmente prodotta dagli 800.000 extracomunitari che lavoravano in Italia si aggirava intorno ai 36 miliardi di euro ovvero il 3,2 % del PIL; considerando gli anni che vanno dal 1995 al 2000 l'apporto oltrepassa 165 miliardi di euro.

L’Osservatorio ARES, inoltre, anche con l’ausilio di un sondaggio sul lavoro irregolare, ha tratto considerazioni particolarmente interessanti in merito alla situazione lavorativa dei cittadini stranieri stimando intorno ai 350.000 i lavoratori “in nero” cioè con un rapporto di lavoro totalmente non denunciato.

Sulla base di tali considerazioni, se questi lavoratori avessero avuto un regolare contratto e fossero usciti dalla clandestinità, il gettito contributivo nel 2000 sarebbe stato di circa 2.700 milioni di euro, mentre tra il 1995 e il 2000 sarebbe ammontato a circa 13 miliardi. Il lavoro “nero” per gli immigrati riguarda sostanzialmente il settore dell'agricoltura (38%) e quello dei servizi (62%).

Riteniamo che il dato sulla ricchezza prodotta dal lavoro degli immigrati potrebbe essere significativo, anche e soprattutto, in previsione del calo demografico e dell’invecchiamento della popolazione italiana previsti nei prossimi cinquant’anni. Nel 2050 gli italiani, infatti, saranno di meno e più vecchi, le prospettive di vita saliranno a 88 anni per le donne e a 82 per gli uomini. Il massimo decremento della popolazione è previsto nel 2030: 4,5 milioni di italiani in meno rispetto agli attuali 57,7.

E' questa la fotografia scattata dall'ISTAT (2003) nel rapporto “Previsioni sulla popolazione residente”. Fino al 2010 un mini boom di immigrati farà crescere la nostra popolazione, poi il saldo con la mortalità volgerà in negativo. Entro il 2010 si potranno contare due ultrasessantacinquenni su dieci abitanti, nel 2050 i cittadini con più di 65 anni saranno aumentati del 73%. Il processo di invecchiamento coinvolgerà anche la popolazione attiva, nel 2028 gli ultracinquantenni saranno il 38% del totale con un aumento dell'11% rispetto ad oggi. Nel 2010 l'Italia arriverà a toccare 1,4 figli per donna.

Nel grafico successivo sono, quindi, rappresentate le previsioni demografiche in Italia fino al 2051 che si distribuiscono secondo la polinomiale tracciata con un livello di approssimazione praticamente nullo essendo l’indice di accostamento R pari a 0,9987 (Figura 1).

 

Figura 1. Previsioni demografiche in Italia al 2051.

Figure 1. Demographic forecasts in Italy to 2051.

 

In questa prospettiva riteniamo che l’immigrazione potrebbe diventare una vera e propria fonte di ricchezza sia economica che di capitale umano.

Per quanto attiene alla Puglia, possiamo dire che nell’ultimo decennio è diventata non solo terra di passaggio verso il resto dell’Europa, ma anche terra di approdo nella logica di una sistemazione stanziale. Al 31 dicembre 2001, la situazione in Puglia e nelle diverse regioni italiane era la seguente (Tabella 2).

 

Regione

Totale

Piemonte

95.872

Valle d’Aosta

2.730

Lombardia

313.586

Liguria

32.688

Nord-Ovest

444.876

Trentino A.A.

33.331

Veneto

127.588

Friuli V.G.

40.985

Emilia Romagna

126.584

Nord-Est

328.488

Toscana

94.467

Umbria

26.797

Marche

39.211

Lazio

236.359

Centro

396.834

Abruzzo

18.072

Molise

2.130

Campania

63.681

Puglia

32.590

Basilicata

3.136

Calabria

13.654

Sud

133.263

Sicilia

47.904

Sardegna

11.265

Isole

59.169

ITALIA

1.362.630

Tabella 2. Immigrati nelle regioni italiane al 31.12.2001 (AA.VV. CARITAS, 2002).

Table 2. Immigrants in the Italian regions in 31.12.2001 (AA.VV. CARITAS, 2002).

 

Come si può notare la presenza di immigrati in Puglia è di 32.590 unità su un totale di 1.362.630 in Italia, pari al 2,4%; il calo delle presenze regolari (-0,3%) rispetto al precedente anno sembra essere dovuto al riordino degli archivi del Ministero dell’Interno, alle difficoltà dovute al rinnovo dei permessi di soggiorno e al fatto che in Puglia molti rapporti di lavoro sono irregolari anche per gli autoctoni. Di seguito riportiamo le aree di provenienza degli immigrati per provincia (Tabella 3).

Come possiamo notare quasi la metà (52,7%) proviene dall’Europa, di questi il 46,4% dai Paesi dell’Est; il 21,7% proviene dall’Africa e il 13,4% dai Paesi asiatici. Soltanto il 4,1% arriva dall’America. Di rilievo sembra la percentuale (7,8%) di immigrati di cui non si conosce la nazionalità concentrati nella quasi totalità nella provincia di Bari (maggior numero di lavoratori irregolari?).

Il 36,7% della popolazione non comunitaria, regolarmente soggiornante in Puglia, proviene dall’Albania (Tabella 4), mentre a livello nazionale la maggior percentuale è riferibile ai marocchini; il dato pugliese è perfettamente in linea con la realtà delle altre regioni che si affacciano sull’Adriatico, ciò è in evidente relazione con la posizione geografica.

Per quanto attiene alla distribuzione per provincia, a Bari ritroviamo il 45% delle presenze (14.657 immigrati) in relazione verosimilmente alle maggiori possibilità di lavoro offerte dal capoluogo; seguono Lecce con il 20,2% (6.572 presenze), Foggia con il 18,1% (5.915 presenze), Brindisi con l’8,5% (2.774 presenze ) e Taranto con l’8,2% (2.672 presenze).

 

Provenienza

Bari

Brindisi

Foggia

Lecce

Taranto

Totale

%

U.E.

599

300

284

428

260

1.871

5,7

Est Europa

6423

1795

2742

2737

1420

15.117

46,4

Altri Paesi

33

28

14

104

20

199

0,6

Europa

7.055

2.123

3.040

3.269

1.700

17.187

52,7

Africa Settentr.

1.925

262

1.170

943

287

4.587

14,1

Africa Occid

310

38

272

422

86

1.128

3,5

Africa Or.

1.141

8

24

118

12

1.303

4,0

Afr.Centr.Merid.

21

10

17

9

11

68

0,2

Africa

3.397

318

1.483

1.492

396

7.086

21,7

Asia Occid.

254

19

819

681

18

1.791

5,5

Asia Centr.-Merid

408

86

151

199

131

975

3,7

Asia Orientale

620

66

80

397

198

1.361

4,2

Asia

1.105

173

1.195

1.575

326

4.374

13,4

America Settentr.

136

66

36

27

112

377

1,2

Am.Centr.-Merid

408

86

151

199

131

975

3,0

America

544

152

187

226

243

1.352

4,1

Oceania

18

3

10

7

5

43

0,1

Apolidi

2

3

0

2

2

9

0,0

Ignoto

2.536

2

0

1

0

2.539

7,8

TOTALE

14.657

2.774

5.915

6.572

2.672

32.590

100,00

Tabella 3. Puglia. Provenienza continentale degli immigrati soggiornanti al 31.12.2001. (AA.VV. CARITAS, 2002).

Table 3. Puglia. Continental origin of immigrates in 31.12.2001 (AA.VV. CARITAS, 2002).

 

Provenienza

Bari

Brindisi

Foggia

Lecce

Taranto

Totale

%

Albania

5.535

1.543

1.853

2.038

1.007

11.976

36,7

Marocco

913

243

751

889

216

3.012

9,2

Tunisia

678

11

339

40

57

1.125

3,5

Kurdi Turchi

11

2

451

348

-

812

2,5

Mauritius

788

1

4

6

5

804

2,5

Senegal

151

3

149

363

76

742

2,3

Cina Popolare

358

23

51

139

145

716

2,2

Jugoslavia

218

35

64

247

64

628

1,9

Sri Lanka

28

11

120

348

70

577

1,8

Kurdi Iracheni

33

14

212

290

-

549

1,7

Altri

5.944

888

1.921

1.864

1.032

11.649

35,7

Totale

14.657

2.774

5.915

6.572

2.672

32.590

100,0

Tabella 4. Puglia. Principali gruppi nazionali di immigrati soggiornanti al 31.12.2001. (AA.VV. CARITAS, 2002).

Table 4. Puglia. Main national groups of immigrates in 31.12.2001 (AA.VV. CARITAS, 2002).

 

In tutti i capoluoghi le comunità più rappresentate sono senz’altro quelle albanesi e marocchine. In ogni provincia si individuano, comunque, comunità che tendono a insediarsi in maniera quasi esclusiva. A Bari, ad esempio, si registra la presenza del 98% dei mauritiani che soggiornano in tutta la regione; quasi tutti hanno trovato impiego stabile come collaboratori domestici. Nella provincia di Lecce, invece, insieme alla comunità dello Sri Lanka (60,3% dei soggiornanti nell’intera regione), è molto radicata quella del Senegal (48,9%). Per quanto riguarda la provincia di Foggia la presenza di immigrati è soprattutto legata a richieste di asilo politico: il 55,5% dei Kurdi Turchi e il 38,6% dei Kurdi Iracheni, con permesso di soggiorno rilasciato in Puglia, risiede, infatti, nei centri di accoglienza foggiani.

 

Motivo del soggiorno

Bari

Brindisi

Foggia

Lecce

Taranto

Puglia

%

Lavoro subordinato

6.797

944

2.555

2.000

1.126

13.422

41,2

Famiglia

4.652

1.038

1.420

1.824

920

9.854

30,2

Richiesta d’asilo

327

75

789

973

4

2.168

6,7

Lavoro autonomo

602

191

225

766

219

2.003

6,1

Studio

728

46

91

221

19

1.105

3,4

Altri

1.551

480

835

788

384

4.038

12,4

Totale

14.657

2.774

5.915

6.572

2.672

32.590

100,0

%

45,0

8,5

18,1

20,2

8,2

100,0

-

Tabella 5. Puglia. Principali motivi di soggiorno degli immigrati al 31.12.2001. (AA.VV. CARITAS, 2002).

Table 5. Puglia. Main reasons of the stay of the immigrants in 31.12.2001 (AA.VV. CARITAS, 2002).

 

Come illustrato nella tabella precedente, il 47,3% degli stranieri presenti in Puglia ha richiesto il permesso di soggiorno per motivi di lavoro (41,2% lavoro subordinato e 6,1% lavoro autonomo) (Tabella 5). Interessante ci sembra la percentuale relativa ai motivi di famiglia (30,2%), che è aumentata rispetto al 1991 (25,7%), questo dato sembra confermare il desiderio di stanzialità degli immigrati stessi legato verosimilmente anche ad un sempre migliore inserimento socio-lavorativo. L’elevato numero dei richiedenti asilo politico in Puglia (2.168) pari al 6,7% delle richieste di soggiorno in Puglia e al 42,1% delle richieste d’asilo su tutto il territorio nazionale, è, senza dubbio, dovuto ai numerosi centri di accoglienza situati in tale Regione.

La Puglia, pertanto, naturale approdo per un grande numero di richiedenti asilo e di profughi per motivi umanitari, ha la percentuale in assoluto più bassa di soggiornanti per motivi di lavoro, inferiore di circa 20 punti rispetto alla media italiana.

In questa analisi dobbiamo comunque considerare che, pur se in maniera inferiore rispetto ad altre regioni italiane, la Puglia in questi ultimi anni si presenta sempre più come terra che da essere solo ed esclusivamente di passaggio, si va trasformando in terra che ospita gli immigrati. E’ stata questa la novità più evidente emersa soprattutto due anni fa dalla lettura del "Dossier statistico immigrazione 2000" della Caritas: rispetto al 1991, l'anno considerato come “inaugurale” del fenomeno immigratorio in Puglia il numero dei soggiornanti, considerando solo gli immigrati regolari, si è più che raddoppiato passando da circa 16.000 a oltre 43.000.

Ci sembra, inoltre, rilevante il notevole numero di richieste di permessi di soggiorno per motivi di studio (3,4% contro il 2,3 % della media nazionale), presso le università, ma anche presso scuole secondarie; questo conferma la ricerca di un tentativo di insediamento definitivo anche in Puglia: una famiglia che inserisce i propri figli nel contesto scolastico è certamente una famiglia alla ricerca di stabilità.

Precedenti studi da noi svolti nella regione pugliese confermano l’importanza di valutare, separatamente e comparativamente, le immigrazioni che avvengono per richiesta di manodopera da quelle dovute alla fuga da situazioni di disagio economico e politico.

La richiesta di manodopera è la base di una migrazione decisamente più serena perché programmata e non improvvisa: possono essere considerati tali, a solo titolo esemplificativo, i flussi dei mauritiani (De Lucia A et al., 1999a) e dei cinesi (De Lucia et al., 2003).

Decisamente carattere di fuga hanno avuto, invece, le migrazioni dall’Albania del 1991 e del 1997 (De Lucia et al., 1998) e dalla ex-Jugoslavia (De Lucia et al., 1999b).

Se nella sua storia, quindi, la Puglia si è configurata, sostanzialmente, come terra di emigrazione, negli ultimi decenni assistiamo, invece, sempre più ad una immigrazione che vede la nostra Regione non solo come terra di passaggio ma anche e più spesso come meta finale.

Per quanto attiene all’aspetto sanitario, uno studio da noi svolto sulle cause di ricovero degli immigrati in Puglia (De Lucia et al., 2002) ha confermato, ove ve ne fosse stato bisogno, che gli immigrati non costituiscono in alcun modo una emergenza né tanto meno un allarme sanitario, poiché le cause di degenza ospedaliera sono prevalentemente legate ad eventi fisiologici, come ad esempio il parto, o a patologie comuni e non trasmissibili.

Ritenendo, inoltre, che accanto alla tutela del diritto alla salute, particolare attenzione debba essere riservata al diritto allo studio, attraverso non solo iniziative di beneficenza privata o di assistenzialismo pubblico, ma soprattutto tramite mirate scelte di politica sociale, riportiamo di seguito i dati più recenti (AA.VV. Caritas, 2002) relativi alla frequenza degli immigrati nelle scuole pugliesi (Tabella 6).

 

Province

Materna

Elementare

Media inf.

Media sup.

Totale

V.a.

Bari

48,3

39,7

39,6

48,1

1.574

42,4

Brindisi

7,9

10,8

12,1

7,8

378

10,2

Foggia

16,3

19,3

14,3

13,1

623

16,8

Lecce

16,9

20,2

24,5

23,2

778

21,0

Taranto

10,6

9,9

9,5

7,8

360

9,7

Puglia

726

1.644

894

449

3.713

100,0

Tabella 6. Puglia. Alunni stranieri suddivisi per tipo di scuola (2001) (AA.VV. CARITAS, 2002).

Table 6. Puglia. Foreign students subdivided for type of school (2001) (AA.VV. CARITAS, 2002).

 

In questo nuovo quadro pugliese ben si inserisce allora, uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università degli Studi di Bari il cui obiettivo è quello di monitorare il livello di integrazione degli adolescenti immigrati. La ricerca è parte di un progetto europeo dal titolo “Health problems, mental disorders and cross-cultural aspects of developing more effective rehabilitation procedures for the refugees of the war-affected countries of Southern Eastern Europe”, cui partecipano Croazia, Albania, Austria, Bosnia e Kosovo. In particolare per l’Italia il team è composto da: prof. A. De Lucia - antropologa - (anche coordinatore amministrativo del progetto), prof. S. Distaso - demografo -, prof. E. Jirillo - immunologo -, prof. M. Nardini - psichiatra -, prof. G. Cibelli - fisiologo -, dott. D.R. Nuzzi - statistico -.

Particolare attenzione è dedicata agli adolescenti “rifugiati” la cui migrazione è avvenuta in seguito ad eventi traumatici socio-politici ed economici verificatisi nei loro Paesi d’origine (in accordo con quanto ribadito dall’UNHCR, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, la categoria dei rifugiati non è più da intendersi nel senso stretto della parola, ma si è progressivamente estesa ad altre categorie di persone costrette a fuggire dalle proprie abitazioni e bisognose di protezione e assistenza.). Al fine di conoscere i principali problemi connessi alle esperienze ed ai cambiamenti di natura psicologica degli adolescenti oggetto di studio, sono stati preparati e standardizzati (per tutti i Paesi partecipanti) alcuni questionari, tali questionari sono stati,successivamente, somministrati a ragazzi di età compresa tra i 14 ed i 19 anni frequentanti le scuole medie superiori.

Per meglio comprendere il contesto di crescita socio-culturale d’origine sono stati coinvolti i genitori dei “rifugiati”; mentre, per approfondire le problematiche legate all’integrazione nel Paese ospitante sono stati intervistati adolescenti autoctoni ed i loro genitori.

La ricerca si propone di:

1)                 tentare la comprensione dei rischi psicologici e dei fattori protettivi legati all’integrazione socio-culturale degli adolescenti rifugiati provenienti da Paesi con gravi disagi socio-economici;

2)                 contribuire alla implementazione di programmi che favoriscano il raggiungimento di un idoneo recupero psico-fisico da parte di questi adolescenti provenienti dal Sud-Est europeo, nella logica di giungere ad un normale ed il più possibile sano processo integrativo.

L’insieme dei risultati ottenuti attraverso l’indagine costituirà base di partenza per tentare di fornire nuovi modelli tesi ad attuare future e più concrete politiche di integrazione.

 

 

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